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INTRATTENIMENTO A CASA DI GIACOMO: LA SERVA PADRONA
16 novembre 2015 @ 21:00 - 23:30
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La serva padrona di G.B. Pergolesi
Regia di M. Bauduin con i musicisti del Teatro di San Carlo
Intermezzo buffo in due parti
Libretto di Gennarantonio Federico
Musica di Giovan Battista Pergolesi
Revisione critica di Ivano Caiazza
Serpina: Minni Diodati
Uberto: Filippo Morace
Vespone: Virgilio Brancaccio
Direttore: Maurizio Agostini
Regia: Mariano Bauduin
Costumi: Marianna Carbone
Clavicembalo: Roberto Moreschi
Quartetto d’Archi del Teatro di San Carlo
Violini: Cecilia Laca e Luigi Buonomo
Viola: Antonio Bossone
Violoncello: Luca Signorini
Allestimento del Teatro di San Carlo
LA SERVA PADRONA DI GIOVAN BATTISTA PERGOLESI E LA CULTURA CULINARIA NELLA TRADIZIONE POETICA NAPOLETANA
“Era di maggio, e cadevano sul furbesco grembo petali di garofani rossi come le mele; dolcissimo maggio, avea sorriso alle cose di casa nostra con un’ultima tiepida e odorosa giornata, lì nella calata di Chiaia.”
Quando pensai a questa Serva padrona pensai a Salvatore Di Giacomo, poiché egli rappresentava il punto più alto in cui la cultura napoletana – quella che va dal ’700 fino al ’900 – era riuscita ad assorbire tradizione e innovazione, cultura alta e cultura bassa. Egli si definiva figlio del ’700, e come tale rielaborava tutto in forma poetica. Emblematica è nella sua produzione poetica l’elemento del cibo; il quale con la raffinatezza dei poeti riesce ad idealizzare in ogni forma e in continue invenzioni, affrontando temi leggeri e legati al mondo popolare, come la cucina e tutte le sue possibili varianti.
Donn’ Amalia ’a Speranzella
Quanno frie paste crisciute,
mena ll’oro ’int’’a tiella,
donn’ Amalia ’a Speranzella.
(…)
È quindi chiaro come la nostra produzione artistica si sia spesso servita di argomentazioni gastronomiche per raccontare un mondo, un’epoca, una gente legata alla propria cultura in tutte le sue possibili varianti e applicazioni. Lo stesso è accaduto per il teatro in musica, dove spessissimo i soggetti dei libretti erano sviluppati all’interno di osterie – vedi L’osteria di Marechiaro di Giovanni Paisiello – dove in concertati, scene e arie i temi erano legati al cibo e all’arte del cucinare.
Nel caso della Serva padrona, che ha rappresentato per la nostra cultura musicale e poetica il punto di partenza, ma anche lo spartiacque per una cultura che viveva in equilibrio perenne tra colto e popolare, ho creduto che sarebbe stato pertinente riassumere tutti questi elementi all’interno della drammaturgia dello spettacolo che potrebbe tranquillamente considerarsi un vero e proprio “intrattenimento” musicale, come quelli che si organizzavano nelle case di Salvatore Di Giacomo, di Ferdinando Russo, di Enrico De Leva, di Mario Costa, e dove durante straordinarie esecuzioni musicali si consumavano altrettante straordinarie prelibatezze proprie della nostra cultura culinaria.
In un momento così importante come è stato l’EXPO di Milano 2015, era necessario confermare ancora una volta la nostra altissima identità culturale, anche in rapporto a tutte quelle dei paesi partecipanti. In un’epoca di globalizzazione, ricostruire le identità nella loro completezza è un grosso impegno che ci avvicina e ci spinge alla collaborazione collettiva, e quindi ben venga cultura culinaria, cultura musicale, cultura storica e cultura scientifica purché esse vengano accomunate dalla medesima volontà di raccontare: raccontare una terra, raccontare una nazione, raccontare un popolo che ha scritto nel proprio DNA secoli e secoli di storia umana e civile.